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  • Immagine del redattorecristiana soldaini

L’importanza dell’esperienza corporea nell’apprendimento

S. è una bambina di 3 anni e mezzo che insieme ai suoi compagni di sezione, ha partecipato ad un percorso di psicomotricità di 8 incontri con cadenza settimanale.

In genere, ogni bambino che per la prima volta entra in una sala di psicomotricità, “porta” fin da subito i suoi bisogni esprimendoli o nei giochi che creano in maniera spontanea o nelle varie modalità di cogliere e gestire le situazioni che gli si presentano.

Fin dai primi incontri è emerso in S. una gran voglia di ricercare sensazioni corporee che l’hanno portata a stare per molto tempo negli spazi della sala che sono adibiti al “gioco senso motorio” (materassi, scivolo, spalliera, pavimento) allontanandosi spesso dai giochi di gruppo che gli altri bambini stavano facendo per dedicarsi in pieno a se stessa. S. ha saltato sui materassi cadendo sulla schiena, sul fianco, sul sedere con rotolamenti e impatti sui cubi morbidi. Si è tuffata dalla spalliera ed ha usato moltissimo lo scivolo alternando camminate lente a camminate più veloci, in avanti, al contrario, in salita; è scivolata da seduta, sdraiata sulla pancia, sulla schiena e sul fianco a differenti velocità e fino all’arrivo sul pavimento. Ha provato gli attriti e i disequilibri, prendendosi tutto il tempo necessario e sperimentando di volta in volta nuove e differenti possibilità. La sala di psicomotricità offre una grande occasione ai bambini che manifestano la voglia di sentirsi e sperimentarsi attraverso il proprio corpo offrendo uno spazio e del materiale dedicato alla ricerca di queste sensazioni e S., nel suo percorso, ha manifestato in pieno questo bisogno. Il bisogno di fare esperienza partendo dalle sensazioni corporee per capire chi è, giocando coi propri limiti e possibilità. I bambini ad esempio fanno molti giochi che riguardano i disequilibri oppure altri che riguardano i salti e gli impatti più o meno forti su materiali morbidi o superfici più dure, sono tutti giochi che rafforzano il “sé”, che rassicurano (la possibilità di poter perdere l’equilibrio per poi ritrovarlo), che aiutano a “sentirsi” e ad apprendere dall’esperienza attraverso il corpo.

Per fortuna ciò che ho imparato è che se non facciamo lo sforzo di osservare con uno sguardo complesso e privo di pregiudizi, corriamo il rischio di farci un’idea veramente limitata e limitante di chi abbiamo di fronte, sia adulto sia bambino e questa responsabilità è ancor più grande in chi svolge un lavoro come il mio, che è fatto di relazione e di cura. I bambini come S. vivono delle fasi del loro sviluppo in cui hanno bisogno di ripetere ad oltranza determinate esperienze per poterle “fissare” e ciò non va pensato come un limite ma come una modalità di ricerca in cui anche noi adulti siamo protagonisti attivi, stando al loro fianco e concedendogli lo spazio e il tempo per poterlo fare.


Letture per approfondire:

I. Gamelli, Pedagogia del corpo, Raffaello Cortina editore.

W. Bion, Apprendere dall’esperienza, casa editrice Astrolabio.

A. Montagu, Il linguaggio della pelle, Verdechiaro edizioni.


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