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Psicomotricità: cos’è, da dove nasce e a cosa serve

Aggiornamento: 3 mag 2022

Che cos’è la psicomotricità? Quali sono i suoi fondamenti teorici? E le sue finalità? Approfondiamo questo metodo a partire da un breve excursus storico fino alla descrizione delle funzioni e delle tipologie di intervento.



Punti di vista

È il 1870, un periodo in cui il cervello viene rappresentato in “aree” ognuna dedita a specifiche funzioni, quando un neurologo tedesco definisce per la prima volta col termine “psicomotorio”, il territorio di confine tra l’area cerebrale del movimento e quella della rappresentazione.

«Lo schema anatomo – clinico che prevedeva una corrispondenza rigorosa tra sintomo e lesione, guardato dalla parte del funzionamento cerebrale va in crisi: spesso si notava che relativamente ai disturbi dell’attività gestuale e motoria, non era la funzione ad essere perduta ma il suo uso. L’impianto dualistico, il corpo e la mente, il movimento e la rappresentazione separatamente presi, si rivelava clamorosamente insufficiente.» 1

La visione si allarga al movimento non più solo al sintomo: s’inizia a riconosce all’attività motoria un ruolo primario nello sviluppo dell’individuo.

In Francia, all’inizio degli anni sessanta gli educatori fisici specializzati contribuiscono a diffondere e a sviluppare una psicomotricità educativa nella scuola (Jean Le Boulch, professore di educazione fisica, sviluppa una proposta di psicomotricità da lui chiamata “funzionale”), mentre nelle istituzioni continua parallelamente a crescere, sotto la tutela della psichiatria, una psicomotricità dalle valenze neurofisiologiche (dal 1997 è attivo in Italia, presso numerose sedi universitarie di medicina, il corso di laurea triennale per terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva – TNPEE – che prepara operatori in campo sanitario). Parallelamente sempre in Francia, Bernard Aucouturier, André Lapierre e Pierre Vayer fondano una società d’insegnanti finalizzata alla ricerca psicomotoria in vari ambiti: educativo con i bambini, di formazione con gli adulti, di aiuto e terapia. Dall’esercizio l’attenzione si sposta al processo, compare un interesse vivo per gli aspetti simbolici e inconsci del movimento ed entrano nel discorso nuove parole chiave come “relazione” e “gioco”: nasce la pratica psicomotoria relazionale metodo Aucouturier. 2


La psicomotricità relazionale

La psicomotricità si sviluppa su due filoni principali, “funzionale” e “relazionale” e ciò che li diversifica sono l’approccio e la finalità.

Nell’ambito della psicomotricità funzionale le figure professionali riconosciute in Italia che lavorano con questo tipo di modalità sono i terapisti della neuro e psicomotricità (TNPEE). Alcuni autori di riferimento sono: Jean Le Boulch, Picq Vayer, Roberto Carlo Russo, Claudio Ambrosini, Anne Marie Wille.

La psicomotricità relazionale, che è l’ambito in cui mi sono formata e opero professionalmente, si basa sulla motivazione e sull’ideazione spontanea del bambino (capacità creativa, iniziativa e sviluppo di un pensiero critico). Il movimento nasce dall’individuo ed è collegato alla sua motivazione in quel particolare momento. Mettere in condizione il bambino di fare le sue scelte andando incontro alle sue esigenze gli permette di crescere in tutti gli ambiti e di rafforzare la sua identità. In questo senso il lavoro è un “lavoro globale” che investe tutti gli aspetti della persona: cognitivo, relazionale ed emotivo e ha come obiettivo principale il rafforzamento del “sé”. La conoscenza di una persona avviene attraverso la relazione e l’espressività si manifesta in situazioni di spontaneità, per questo il materiale presente in sala è destrutturato e l’atteggiamento dello psicomotricista non è né giudicante né propositivo, il suo lavoro è basato sull’ascolto, sull’osservazione continua e sull’interpretazione dei bisogni che sono portati dai bambini sul piano simbolico. La psicomotricità relazionale è uno strumento che aiuta l’individuo nella complessità del suo percorso di maturazione ed è occasione di crescita dell’intero gruppo familiare a cui sono forniti gli strumenti e le informazioni per comprendere alcuni aspetti dello sviluppo del bambino, affinché possano maturare consapevolmente le proprie scelte educative.

In Italia, il profilo professionale dello Psicomotricista è disciplinato a norma della Legge n.4/2013. Opera in via autonoma o in collaborazione con altre figure dell’ambito educativo e socio-sanitario, struttura interventi di educazione, prevenzione e di aiuto psicomotorio, nel rispetto della globalità psicofisica dell’individuo, utilizzando metodologie a mediazione corporea. Per svolgere adeguatamente queste funzioni lo Psicomotricista necessita di una formazione teorica ampia, centrata su una visione globale della persona; di una formazione personale approfondita, quale percorso di esperienza la cui finalità è l’acquisizione delle capacità di ascolto; di una formazione professionale specifica, che vede al centro del lavoro l’intervento con la persona nella sua globalità e si realizza attraverso il tirocinio, momenti di elaborazione delle esperienze, supervisioni degli interventi effettuati e seminari sui temi della psicomotricità. Attualmente la formazione è realizzata da scuole presenti sul territorio nazionale, con corsi triennali, avviati a partire dal 1972. Lo Psicomotricista ha fondamenti epistemologici, obiettivi e modalità operative peculiari che lo contraddistinguono come figura professionale specifica. 3


Fonti:

1 - P. Gherardi, La profonda radice (in corso di pubblicazione).

2 - B. Aucouturier, B. Darrault, I. Empinet, La pratica psicomotoria. Rieducazione e terapia. Armando Editore (1984 prima ed.).

3 - Il profilo professionale dello psicomotricista www.associazioneaip.it

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